Promuovere il benessere nelle persone con disabilità significa riconoscere e valorizzare le potenzialità individuali, creando percorsi di vita che integrino attività volte all’incremento dell’autonomia e partecipazione. Il benessere, infatti, comprende la sfera fisica, mentale, relazionale ed emotiva. Un approccio olistico con attività personalizzate sulle diverse esigenze motorie, sensoriali o cognitive, permette di migliorare la qualità della vita, di rafforzare la percezione positiva di sé e l’inclusione sociale.

Un ambiente accessibile, il sostegno della comunità e l’autonomia personale sono elementi chiave per favorire una vita soddisfacente in cui l’attività fisica e la partecipazione sociale diventano strumenti fondamentali di empowerment e salute psicofisica.

Un esempio concreto di come lo sport possa trasformarsi in strumento di crescita arriva dall’esperienza della dottoressa Silvia Spinelli, terapista della neuropsicomotricità dell’età evolutiva (TNPEE) e istruttrice di ginnastica artistica presso la società “Polisportiva Sole” situata a Lissone (MB).

Attualmente la dottoressa Spinelli è un’istruttrice di terzo livello e coordinatrice del settore per cui si occupa, oltre che dell’insegnamento, anche della parte organizzativa dal calendario delle lezioni, alla creazione di gruppi e prove.

Per rendere la ginnastica artistica accessibile, la dottoressa Spinelli adatta lezioni, materiali e attrezzature alle esigenze di ciascun atleta, curando anche l’aspetto sensoriale dell’ambiente e valutando gli elementi, come fonti di luce o rumori, che potrebbero sovra stimolare i ragazzi. Infine, predispone spazi sicuri dove fare delle pause, per chi ne ha bisogno, garantendo un contesto inclusivo e confortevole.

Ecco le domande che le abbiamo posto.

 

Ma quali sono, effettivamente, le strategie utilizzate per insegnare una disciplina sportiva precisa e complessa come la ginnastica artistica?

Personalmente, analizzo la radice del gesto motorio che voglio insegnare e, successivamente, lo semplifico e spezzetto in piccole sequenze.

Ad esempio, prima ancora di insegnare il salto a piedi uniti verifico che il ragazzo riesca a stare fermo a piedi uniti o a salire sulle punte, quindi a fare il movimento preparatorio del salto. Chiaramente poi, ci sono ginnasti che riescono al primo tentativo e chi, invece, fa un po’ più fatica per cui rimodulo l’allenamento e lo adatto sull’atleta.

Disporre poi, di attrezzi e materiali adeguati come i cerchi, tappeti con altezze diverse, facilita il percorso di apprendimento, perché rende un pochino più sicuro di sé anche il ragazzo; la ginnastica, infatti, non è uno sport semplice e i ragazzi sono sollecitati, anche dal punto di vista motorio, a compiere dei gesti motori che tecnicamente o solitamente nella vita quotidiana non si fanno, per cui anche lo stare a testa in giù per alcuni è molto difficile, sia da insegnare che sperimentare.

 

In che modo il suo approccio da terapista della neuro-psicomotricità arricchisce la sua attività di istruttrice?

Il mio approccio da terapista della neuro-psicomotricità arricchisce molto la mia attività di istruttrice, perché mi consente di avere una visione più globale dell’atleta, che va oltre l’aspetto motorio e sportivo. Tengo conto anche delle componenti cognitive, sensoriali, relazionali ed emotive, comprendendo meglio le motivazioni e le difficoltà che possono emergere durante l’apprendimento di un gesto motorio o di un esercizio.

Ciò mi permette di costruire percorsi individualizzati e inclusivi, servendomi di strumenti utili per favorire l’inclusione, sostenere la motivazione e valorizzare le potenzialità di ogni atleta, anche nei contesti più complessi accompagnandoli con un approccio graduale che mira prima alla relazione e alla sicurezza, e poi all’inserimento nel gruppo.

Tutti gli allenamenti, quindi, sono propedeutici al raggiungimento di obiettivi sportivi personalizzati per ogni atleta, ma lo scopo principale è quello di creare un ambiente e un contesto inclusivo in cui i ragazzi possano sperimentare e incrementare anche la sfera emotiva e relazionale. 

Ci tengo che l’attività conservi aspetti ludici e di relazione e che il gruppo di allenamento sia anche un gruppo di amici al di fuori della palestra. È bello vedere che i ragazzi si scambiano i numeri per parlare su Whatsapp e sapere che si invitano alle feste di compleanno oppure per fare una semplice passeggiata.

 

In che modo, invece, la ginnastica artistica contribuisce allo sviluppo psicomotorio dei suoi allievi? 

La ginnastica artistica contribuisce in modo significativo allo sviluppo psicomotorio degli allievi perché coinvolge una vasta gamma di schemi motori, sia di base che complessi. Attraverso esercizi su diversi attrezzi – che includono rotolamenti, sospensioni, equilibri e movimenti in varie posizioni – i bambini sviluppano coordinazione, equilibrio statico e dinamico, consapevolezza corporea e concentrazione.

Molti di questi movimenti non sono abituali nella vita quotidiana, ma una volta interiorizzati migliorano il controllo motorio anche fuori dalla palestra. I genitori spesso notano progressi evidenti, come una maggiore stabilità, attenzione e sicurezza nei movimenti.

Nei più piccoli, inoltre, attività come arrampicarsi, rotolare o scivolare stimolano in modo naturale la motricità globale, favorendo autonomia e fiducia nelle proprie capacità corporee. In sintesi, la ginnastica artistica è un potente strumento educativo che unisce sviluppo motorio, cognitivo e percettivo in modo armonico e divertente.

 

Come gestisce la motivazione e l’autostima dei ragazzi, soprattutto nei momenti di difficoltà? 

Per gestire la motivazione e l’autostima dei ragazzi, soprattutto nei momenti di difficoltà, adatto sempre l’approccio alle caratteristiche di ciascun allievo. Le situazioni più delicate si verificano di solito durante le gare o le esibizioni, quando entra in gioco l’ansia da prestazione. In questi casi, lavoro molto sulla concentrazione e sulla tranquillità, invitandoli a focalizzarsi su sé stessi e sull’esercizio, senza farsi distrarre dal pubblico.

Durante l’allenamento, quando emergono paure o insicurezze rispetto a un esercizio, cerco di rassicurare l’allievo spiegando e mostrando che può affrontarlo in sicurezza. Se necessario, semplifico l’attività o la suddivido in passaggi più piccoli, in modo che possa sperimentare piccoli successi e recuperare fiducia nelle proprie capacità.

L’obiettivo è farli sentire competenti e sostenuti, valorizzando ogni progresso e rafforzando la convinzione che con impegno e gradualità si può superare ogni difficoltà.

 

Quali risultati o progressi osserva più spesso nei suoi allievi?

Nei miei allievi osservo più spesso progressi legati all’apprendimento motorio, come la capacità di memorizzare e coordinare nuove sequenze ed esercizi, che rappresentano il cuore del lavoro in palestra.

Accanto agli aspetti tecnici, noto importanti miglioramenti anche nell’autonomia personale: gestione dello spogliatoio, del materiale, della cura di sé e dell’organizzazione durante le trasferte.

In generale, i risultati più significativi riguardano proprio la crescita complessiva dei ragazzi, sia dal punto di vista motorio che personale, segno che l’allenamento diventa anche un percorso di sviluppo e responsabilità.

 

Ha notato cambiamenti nel modo in cui la società guarda allo sport per persone con disabilità?

Negli ultimi anni ho notato un cambiamento positivo nel modo in cui la società guarda allo sport per persone con disabilità. Eventi come i Giochi Mondiali Special Olympics del 2019, che hanno ricevuto ampia attenzione mediatica e istituzionale, hanno contribuito a far conoscere e valorizzare queste realtà, aumentando la consapevolezza e l’interesse del pubblico.

A livello locale, si registra una maggiore apertura e inclusione: le società sportive e i comuni iniziano a coinvolgere anche le realtà dedicate agli atleti con disabilità nelle manifestazioni e nelle iniziative territoriali. Tuttavia, permane ancora una certa difficoltà culturale nel riconoscere pienamente le potenzialità sportive delle persone con disabilità intellettiva.

Ritengo fondamentale continuare a fare cultura su questo tema, anche nei contesti sanitari e formativi, per favorire una continuità tra percorso riabilitativo e attività sportiva. Lo sport, infatti, può rappresentare una naturale prosecuzione del lavoro terapeutico, offrendo ai ragazzi occasioni di crescita, autonomia e inclusione.

 

Cosa significa per lei “inclusione” nel contesto sportivo? 

Per me l’inclusione nel contesto sportivo significa possibilità e partecipazione: offrire a tutti, indipendentemente dalle abilità, la possibilità di condividere lo stesso spazio, provare le stesse attività e sentirsi parte di un gruppo. Anche solo avere l’opportunità di partecipare è già il primo passo verso una vera inclusione.

L’obiettivo più alto è l’inserimento naturale di atleti con disabilità all’interno dei gruppi di allenamento, dove lo scambio tra ragazzi neurotipici e ragazzi con disabilità diventa reciproco e arricchente per entrambi. I primi imparano a relazionarsi in modo più empatico e consapevole, mentre i secondi trovano stimolo, riconoscimento e senso di appartenenza.

L’inclusione, quindi, non è assistenzialismo né obbligo, ma condivisione autentica di esperienze, impegno e valori sportivi, dove ciascuno può dare e ricevere qualcosa dall’altro.

 

Quali sono le barriere ancora da superare per rendere le attività sportive più accessibili? 

Le principali barriere da superare per rendere le attività sportive più accessibili non sono tanto strutturali, quanto culturali e umane. Le difficoltà maggiori derivano spesso dalla scarsa apertura o dalla mancanza di preparazione degli istruttori e delle società sportive di fronte alla disabilità.

Molti bambini con disabilità intellettiva non necessitano di attrezzature particolari, ma solo di attenzioni e strategie educative specifiche. Tuttavia, la paura o l’insicurezza degli allenatori nel gestire situazioni nuove può ostacolare l’inclusione.

È, quindi, necessario promuovere una maggiore formazione e cultura della disabilità, vista non come limite ma come risorsa, e prevedere, dove serve, figure di supporto che affianchino gli istruttori. Solo così si potrà superare il pregiudizio e rendere lo sport davvero accessibile a tutti”.

Sport, attività quotidiane e cura di sé possono diventare strumenti potenti di empowerment, quando adattati in modo intelligente e personalizzato.

Il benessere, in questo senso, non è solo una meta individuale, ma un percorso condiviso verso una società più equa, solidale e accessibile a tutti.