Per Comunicazione Aumentativa e Alternativa (CAA) si intendono tutte le modalità di comunicazione che possono essere implementate per facilitare e ottimizzare le capacità comunicative di tutte le persone che presentano difficoltà nell’utilizzare i comuni canali comunicativi come il linguaggio orale e la scrittura.

Il termine “Aumentativa” indica che la CAA non vuole sostituire, ma accrescere la comunicazione naturale, utilizzando tutte le competenze dell’individuo e includendo le vocalizzazioni o il linguaggio verbale esistente, i gesti, i segni, la comunicazione con ausili e la tecnologia avanzata.

L’aggettivo “Alternativa” descrive invece, la possibilità di sperimentare, quindi utilizzare, canali comunicativi diversi da quelli comuni (Beukelman D.R. e Mirenda P., 2015).

Le strategie e gli strumenti di Comunicazione Aumentativa e Alternativa (CAA) consentono quindi a chi non può comunicare, di scegliere, raccontare, autodeterminarsi e soprattutto partecipare.

Ci è, quindi, possibile raccontare le storie di due famiglie che hanno voluto condividere la loro esperienza e il modo in cui la CAA abbia trasformato la quotidianità, restituendo dignità, autonomia e relazioni.

La voce di Brando

Francesca viene da Ostia, in provincia di Roma, ha 40 anni e tre figli, tra cui Brando un preadolescente meraviglioso, come ci tiene a sottolineare, di 13 anni con diagnosi di disturbo dello spettro autistico grave non verbale.

A Francesca brillano gli occhi e sorride quando parla di suo figlio, ha la voce calma e la determinazione di chi non si arrende: “Per anni sono stata la voce di Brando, poi verso le elementari, soprattutto in pandemia, ho cominciato a documentarmi per offrirgli la possibilità di esprimersi e di comunicare autonomamente”.

Riferisce di aver trovato molte informazioni e testimonianze in rete che l’hanno convinta a chiedere alla neuropsichiatra e all’equipe del Bambino Gesù che ha in carico Brando di poter iniziare un progetto di CAA.

Francesca sorride ripensando a tutti i simboli, le foto, oggetti concreti e le tabelle che ha creato e stampato per il figlio: “Avevo, e ho ancora adesso, simboli per tutta casa; avevo predisposto l’etichettatura dell’ambiente in modo tale che Brando trovasse simboli di riferimento in ogni stanza di casa per poter decodificare l’ambiente e richiedere tutto quello di cui avesse bisogno senza andare in frustrazione”.

Oggi Brando utilizza un comunicatore dinamico con simboli personalizzati e una voce sintetica.

“Dopo tanti anni, è stato emozionante vedere Brando che finalmente aveva la possibilità di comunicare, anche senza di me, attraverso il suo personale dispositivo in tutti i contesti di vita come a casa, a scuola, in ambulatorio, ovunque. Ad oggi ha raggiunto una maggiore autonomia e sono sempre meno gli episodi in cui esprime frustrazione perché il Dpad gli permette di far sapere a tutti le sue emozioni e quello di cui ha bisogno; riesce, infatti, a comunicare desideri, emozioni, scelte”.

Insieme all’utilizzo di un dispositivo tecnologico, Brando continua ad usare agende visive cartacee che, come racconta la mamma, lo aiutano nella scansione dei tempi e delle attività che si susseguono durante la giornata. Ciò evidenzia la multimodalità della CAA e dimostra che strategie High-Tech e Low-Tech possono coesistere, senza che l’adozione dell’una determini l’abbandono dell’altra.

Chiaramente imparare a programmare e anche a proporre uno strumento tecnologico è più complesso, richiede tempo e la collaborazione di tutte le persone che fanno parte della vita del bambino, dai familiari, agli insegnanti e ai terapisti.

“Rispetto a questo sono stata fortunata, le insegnanti hanno accolto con entusiasmo lo strumento e sia io che le terapiste, dopo la formazione ricevuta sulla programmazione del software, continuiamo ad aggiornare il dispositivo”.

Il successo di un progetto di CAA, infatti, è spesso determinato non solo dall’individuazione delle strategie e degli strumenti più efficienti ed efficaci per la persona ma soprattutto dalla valutazione e dall’abbattimento delle barriere di opportunità legate all’ambiente circostante. È fondamentale quindi, per le famiglie e per gli utenti della CAA poter fare riferimento su un ambiente inclusivo, costruttivo e competente.

 

 

Gli occhi di Domenico 

“Mio marito Domenico ha ricevuto la diagnosi di Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA) nel giugno del 2021” racconta la moglie.

“A distanza di un anno poi ha fatto la tracheostomia e, non potendo più parlare, dovevamo trovare una soluzione. In questo modo ci siamo affacciati al mondo della CAA e delle Tecnologie Assistive; il neurologo che lo aveva in cura ci ha messo in contatto con il Centro per L’Autonomia di Roma”

Da quel momento inizia il percorso di Domenico e della sua famiglia nell’individuazione della migliore Soluzione Assistiva per i suoi bisogni e le sue competenze.

“Con la guida dall’equipe del centro di valutazione e il supporto del terapista occupazionale, abbiamo conosciuto Sapiolife e il loro sistema a puntamento oculare DIALOG 3.0 che utilizziamo già da tre anni”.

Nonostante le modalità di accesso e di controllo del dispositivo siano diverse da quelle comuni e passino interamente per il suo sguardo, Domenico racconta di essersi adattato subito: “Scrivere con gli occhi, in realtà, è molto semplice e le interfacce di comunicazione e gestione del comunicatore si possono personalizzare e adattare a qualsiasi esigenza personale”.

Abbiamo chiesto a Domenico e sua moglie se ci fossero attività che senza il comunicatore fossero difficili se non impossibili, senza esitazione la moglie ha risposto “Grazie al puntatore oculare può mantenere rapporti sociali con tutti, avendo Whatsapp, Instagram, Facebook ecc, e soprattutto -parlare-; per noi familiari è un bene preziosissimo del quale non potremmo fare più a meno”.

Queste affermazioni, dimostrano quanto la CAA non è solo per chi la usa, ma anche per chi gli sta attorno. La CAA, infatti, restituendo i ruoli sociali consente, soprattutto alle persone con disabilità comunicative acquisite, di riappropriarsi della propria identità ed essere partecipi della quotidianità con frasi normali, anche banali come “che hai fatto oggi a scuola?” oppure “hai pagato le bollette?” ma con una potenza ed un impatto emotivo fortissimo.

In queste storie emerge un filo comune: la CAA non è una terapia che si prescrive e somministra, non è un mero sostituto del linguaggio, ma uno stile di vita, un approccio diverso a ciò che facciamo tutti i giorni tutto il giorno: comunicare.

Dove c’è il silenzio o l’incomprensione, la CAA crea opportunità di comunicazione, consente scelte, scambi. Ogni persona ha il diritto di comunicare, e la CAA rende questo diritto possibile, adattandosi ai bisogni e alle competenze della persona.

Dunque, in conclusione, gli strumenti cartacei, i comunicatori digitali, i simboli, le tabelle, le app: le strategie e gli ausili di CAA rappresentano un mezzo.

La vera forza della CAA sta nel creare una rete sociale di supporto consapevole: famiglie, scuole, luoghi di lavoro, terapisti, amici. Le testimonianze di Brando, di Domenico e delle loro famiglie ci ricordano che dare voce a chi non può parlare è un atto dovuto.

 

Bibliografia:

Beukelman, Mirenda, 2015 ‘’Manuale di comunicazione aumentativa e alternativa’’ (IV edizione)