Il ruolo della famiglia nella CAA: analisi del supporto familiare nell'adozione e utilizzo degli strumenti, con consigli pratici per genitori e caregiver
Laura Lorusso
Aggiornamento - 10:50 del 14/10/25

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Per parlare di Comunicazione Aumentativa e Alternativa (CAA) e del ruolo centrale che ha la famiglia in questo percorso, abbiamo deciso di intervistare la Dott.ssa Marina Marchicelli, terapista occupazionale specializzata in età evolutiva e, da circa 6 anni, in CAA, e Ana, mamma di Aurora che utilizza quotidianamente questa strategia.
Ana vive a Roma con i suoi tre figli: Mateo di 18 anni, Aurora di 13 e Anastasia di 6. Aurora ha una malattia genetica rara chiamata PIP5K1C che comporta, oltre alle tante complicanze, non riuscire a comunicare verbalmente.
Ecco cosa abbiamo chiesto loro.
Ana, come è iniziato il vostro percorso nella CAA?
“Aurora ha iniziato a fare logopedia a 2 anni e mezzo, ma dopo diversi anni non riuscivamo a notare alcun miglioramento: insieme alle terapiste abbiamo cercato, e trovato, vari metodi per aiutarla ad esprimersi e tra il 2019 e il 2020 abbiamo provato ad inserire delle immagini associate alle persone e agli oggetti più comuni, che lei usava e vedeva quotidianamente.
Dopo poco tempo abbiamo notato che ad Aurora questo metodo piaceva e che stava realmente facendo progressi. Da quel momento nella nostra vita è entrata la CAA, che mai prima di quel momento avevo sentito nominare.”
Spesso, infatti, l’approccio alla CAA è tardivo e non preferenziale rispetto ad altre strategie e metodi riabilitativi. Fortunatamente per Aurora e la sua famiglia, la competenza e la formazione dell’equipe riabilitativa di riferimento, riconosciute le difficoltà ma anche le potenzialità della bambina, hanno dato inizio al progetto di CAA.
Dr.ssa Marchicelli, come avete definito il progetto di Aurora, da cosa avete iniziato?
“Il progetto di Aurora è iniziato quasi 6 anni fa, grazie alla collega specializzata in CAA che mi ha preceduto nel progetto. Aurora prima della valutazione della collega era inserita in un progetto riabilitativo con accessi di logopedia e terapia motoria, individuale e di gruppo.
Quando ho preso in carico la bambina ho visionato il lavoro svolto fino a quel momento; grazie alla preziosa collaborazione della mamma abbiamo personalizzato ulteriormente il materiale già presente, abbiamo inserito delle novità sulla base degli interessi di Aurora e abbiamo condiviso tutto il progetto con equipe, scuola e cooperativa di servizi che collabora con la famiglia nella gestione di Aurora.
Inoltre, con la complicità dei colleghi presenti in struttura abbiamo fatto sperimentare ad Aurora l’utilità del suo materiale, con il quale ha scoperto il piacere della richiesta, dello scambio, della scelta, e il racconto di episodi accaduti fuori dal contesto di terapia. Di fatto ha sperimentato il piacere della comunicazione e condivisione attiva in ambiente protetto.”
Il progetto di CAA, quindi, non interessa solamente l’ambito riabilitativo, non è una terapia che inizia e finisce nella stanza di riabilitazione; per avere successo, deve declinarsi in tutti gli ambienti di vita dell’individuo e deve essere supportata e incentivata da tutte le persone che fanno parte della rete sociale della persona con complessi bisogni comunicativi, a partire dalla famiglia stessa.
Dr.ssa Marchicelli, quanto è importante il coinvolgimento della famiglia nella CAA?
“La famiglia riveste un ruolo fondamentale in un progetto di CAA. Pertanto, spero di riuscire a esporre la mia personale visione in modo esaustivo. La famiglia è un sistema dinamico in cui si sviluppa un modello di crescita, educativo, relazionale emotivo e concreto per tutti gli elementi presenti.
Definirei la famiglia come la colonna vertebrale di un progetto di CAA, i genitori e anche i fratelli; a volte sostengono tutto il progetto, altre volte hanno bisogno di essere sostenuti ma solo loro possono fare la differenza nell’organizzazione e nella pianificazione di tutto l’occorrente, nel ricordare eventi, nel favorire la partecipazione dei figli alle routine di vita familiare.
Il coinvolgimento della famiglia in un progetto di CAA va curato e mantenuto nel tempo come in ogni altro tipo di approccio, che sia esso riabilitativo oppure no. Coinvolgere una famiglia non è semplice: la famiglia è una risorsa che a volte facilita, altre volte si pone come barriera e questa modalità è spesso inconsapevole”.
Il pensiero della dottoressa Marchicelli trova riscontro sia nelle difficoltà che effettivamente poi queste famiglie incontrano durante il loro percorso, che nel successo del progetto. Infatti, la sinergia tra il team riabilitativo e la famiglia è un elemento imprescindibile per la riuscita del progetto.
Ana, come avete integrato le strategie e gli strumenti di CAA nella vostra quotidianità?
“Inserire la CAA è stato un processo abbastanza lungo e tortuoso: per prima cosa sono stata io, in qualità di genitore, ad imparare ad usare la CAA per poi proporla a mia figlia.
Piano piano, un simbolo alla volta, abbiamo inserito quelli più significativi e motivanti per lei (come “mamma”, “papà”, “colazione”, “bagno”, ecc.) riuscendo così a creare un vocabolario personalizzato, che è cresciuto e continua a crescere con l’apprendimento di nuovi vocaboli, arrivando attualmente a contare circa 300 simboli. La cosa più importante per facilitare l’apprendimento dei simboli è la costanza nell’uso, soprattutto a casa e a scuola, dove lei trascorre la maggior parte del tempo.”
Ana, quali sono state le difficoltà maggiori che hai incontrato?
“La CAA ci ha regalato tanti momenti felici e soddisfazioni ma anche momenti difficili e complicati; quello peggiore, sicuramente, è stato quando le terapiste e la dottoressa ci hanno detto di cambiare metodo di logopedia introducendo con la CAA.
In quel momento mi sono sentita persa: mi sono ritrovata in un mondo nuovo senza sapere dove mettere le mani, che materiale serviva, da dove prenderlo e come svilupparlo, insomma, non avevo idea di come aiutare mia figlia.
Però abbiamo avuto la fortuna di essere sempre stati affiancati dalle terapiste che con tanta pazienza mi hanno indicato come e dove trovare il materiale, ma soprattutto come riuscire a personalizzarlo per renderlo il più comprensibile possibile per Aurora”
Il mondo della Comunicazione Aumentativa e Alternativa, specialmente per chi vi si affaccia per la prima volta, può risultare molto complesso, talmente vasto che non si ha idea da dove iniziare. In rete, poi, è possibile trovare tantissimo materiale ma di che tipo? pensato per chi, per quali attività?
Sebbene esistano diverse fonti attendibili da cui scaricare del materiale o da cui trarre spunto, è fondamentale che quello proposto sia tagliato e cucito sui reali bisogni e competenze della persona, come un abito sartoriale. La complessità umana e le differenze individuali, infatti, fanno sì che non esista un qualcosa che vada bene per tutti.
Dr.ssa Marchicelli, cosa consiglia ai genitori che iniziano ora?
“Dipende dai genitori e dal bambino. Come faccio solitamente, chiederei se conoscono la CAA e successivamente li rassicurerei del fatto che questo è un percorso dinamico che si costruisce insieme e si modifica in base alle necessità del figlio/a per favorire la massima partecipazione nei suoi contesti di vita.”
Ana, invece cosa diresti a un genitore che sta iniziando ora questo percorso?
“Per chi come me, come noi, deve iniziare questo percorso ho alcuni consigli da dare: noi genitori abbiamo sempre tanto timore e vogliamo sempre che i nostri figli o parenti siano al pari degli altri, ma quando ciò non è possibile non bisogna fossilizzarsi sul perché e disperarsi, bensì cercare una soluzione, un rimedio, un nuovo metodo che aiuti i nostri figli ad essere “come gli altri”.
Usando la CAA ho capito che, anche se mia figlia non è capace a parlare a parole non significa che lei non sia capace di comunicare, anzi, accade spesso che notiamo in lei, grazie alla CAA, doti di comunicazione molto più grandi di molti altri bambini.
Una volta capito che la CAA è il metodo giusto non bisogna sperare in miracoli immediati, la CAA è un cammino lungo, che necessita di costanza e aggiornamenti ogni giorno, ma che prima o poi regala tante emozioni, spesso inaspettate.
Non bisogna mai mollare e soprattutto mai pensare “mia figlia non ce la farà” perché questi bambini “speciali” sono molto più forti, coraggiosi e costanti di noi, e un modo lo trovano sempre. Ultima cosa ma non per importanza è avere fiducia in tutte le terapiste e le dottoresse che ci aiutano in questo lungo percorso.”
Dr.ssa Marchicelli, può condividere qualche consiglio pratico per le famiglie?
“Premesso che ogni famiglia è differente, ha necessità differenti e magari può avere preconcetti rispetto a questo approccio, il primo consiglio pratico è documentarsi da fonti attendibili basate su evidenza scientifica (es. sito Isaac Italy).
Essere d’esempio nell’utilizzo di sistemi di comunicazione (quaderni, comunicatori ecc) poiché i bambini apprendono per imitazione ed esperienza e gli altri adulti (insegnanti, operatori, assistenti) devono verificarne l’efficacia.
Osservare e aspettare, perché un bambino con complessi bisogni comunicativi spesso ha tempi di risposta maggiori rispetto alla comunicazione di tipo convenzionale. Infine, leggere la Carta dei diritti alla Comunicazione (National Committee for the Communication Needs of Persons with Severe Disabilities, 1992)”
Da questo confronto, emerge l’importanza di affidarsi ad un team formato e competente e della sinergia tra la famiglia e i professionisti che rendono il progetto di CAA davvero accessibile e gli scambi comunicativi reali e significativi.
Aggiornamento - 10:50 del 14/10/25